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Discorsoni / Analisi General

RACHE. Le vibrazioni del nostro tempo.


Negli Stati Uniti, l’altra sera, hanno sparato a un nazista. Non ci interessa se sia morto perché la polizia ha impedito ai paramedici di intervenire in tempo, né se a sparargli sia stato un compagno, un nero a caso, un poliziotto o un altro nazista. Se nei primi due casi saremmo meno stupiti, negli altri saremmo più divertiti.
Non ci interessa nemmeno (in questa sede) bastonare il can che affoga di chi dopo anni di retorica fuoco e fiamme scopre che la violenza sistemica, quando torna indietro, è effettivamente violenta e come tale fa male a delle persone, non solo a vetrine e bancomat. Se pensavano che durante le rivoluzioni si ballasse rimarranno delusi, d’altra parte Emma Goldman non ne ha mai fatta una, Mao sì.
Meno di tutto ci interessa polemizzare sul ruolo del Terrore Rosso, dei Giacobini, degli anabattisti di Müntzer o dei Gracchi: la tradizione ci interessa per due cose, lo stile e gli strumenti pratici che ci possono servire. Per l’agire politico, per la nostra militanza, preferiamo restare ben ancorati al presente per intercettare il futuro.
E il presente è brutto, orrendo – senza alcuna accezione di slang al termine -, dove la composizione spuria più conflittuale nel nostro territorio non trovando alcun riferimento valido si coagula attorno a lotte imperscrutabili contro 5G, mascherine e dittatura sanitaria.

È qui il nodo che ci interessa, quello della vendetta. Termine che ci rivendichiamo totalmente perché in un mondo che si sente davvero sull’orlo della Katastrophe nella sua accezione più apocalittica la vendetta diventa una leva rivoluzionaria concreta, tangibile, immaginabile.
La nostra gente vive di vendetta, la brama, se ne abbevera come può: la cerca con gli strumenti che ha a disposizione, come la la denuncia, la pattuglia dei vigili, lo sputtanamento social e occasionalmente quello pubblico. Sta a noi organizzare la vendetta collettiva. E la celebriamo ogni volta che capita l’occasione.
Siamo andati a vedere il Joker di Todd Phillips [1] e ne siamo usciti pensando che quelle erano le vibrazioni del nostro tempo, così come Piazza Maidan ha rappresentato l’orizzonte nuovo della guerra civile in Europa.

Con lo scomparire delle possibilità di mediazione, il confronto diventerà sempre più sporco ma anche sempre più duro, e chi rimarrà indietro ne pagherà il conto con l’esclusione: chiedetelo a Salvini che ha puntato tutto sull’essere colui che spingeva più in là le proprie posizioni e quando un Conte qualsiasi gli ha dato quel che chiedeva ha imboccato il viale del tramonto. E vale la stessa cosa per Trump: flirtava con la guerra civile e alla fine gliene stanno dando un assaggio.
A volte accettare provocazioni è la reazione migliore.
Per questo celebriamo, post-ironici, tutti i crimini del comunismo, perché non ci sentiamo in colpa a desiderare la vendetta di classe sul nemico, né tanto meno proviamo alcuna pietà per esso. Non dobbiamo giustificarci se non è necessario come tattica contingente ne preoccuparci se non siamo sinceri nel farlo: siamo in trincea e abbiamo ben altre priorità.

[1]  http://archivio.commonware.org/index.php/neetwork/904-la-morte-degli-eroi

Ps:
“Aveva chiesto dove fossero i bolscevichi”