La guerra ha legato tra loro, con catene di ferro, le potenze belligeranti, i gruppi contendenti di capitalisti, i “padroni” del regime capitalistico, gli schiavisti della schiavitù capitalistica. Un grosso grumo di sangue: ecco che cos’è la vita sociale e politica dell’attuale momento storico.
Lenin, Lettere da Lontano.
I democratici antifascisti per il battaglione Azov.
I razzisti sovranisti per la denazificazione.
I tecnocratici europeisti per il presidente comico e populista.
Gli anarchici per i sacri confini dello Stato ucraino.
I comunisti per l’Impero zarista di tutte le Russie.
I nazionalisti per l’Eurasia da Lisbona a Vladivostok.
Gli indipendentisti per l’imperialismo anglosassone Nato.
I pacifisti per la guerra mondiale.
I generali per la pace tra i popoli.
Giletti in diretta da Odessa, con «l’occhio della madre», «la carrozzella col bambino», «gli stivali dei soldati».
E il liberatorio grido fantozziano, «È una cagata pazzesca!», bollato come ignobile propaganda putiniana.
Ed è solo il primo mese di una guerra che, lungi dal concludersi brevemente e dal considerarci non coinvolti, vedremo ulteriormente peggiorare, prima di migliorare.
Sempre se potrà migliorare. Per i morti, per i caduti, la guerra è già finita. Per tutti gli altri, continua la danza macabra, sconsiderata, sull’abisso: dell’escalation globale, della mutua catastrofe assicurata. «Siamo pronti a ogni sacrificio», ha annunciato alle Camere il premier-tecnico Mario Draghi all’inizio del conflitto. «L’Italia farà la sua parte». Scrosci di applausi. Sedicenti rappresentanti del popolo italiano a ratificare l’ora delle decisioni irrevocabili, prese altrove: Washington, Londra, Bruxelles. Senza che nessuno avesse, o abbia ancora chiesto, se veramente gli italiani siano disposti a questo sacrificio. L’ennesimo. Il più estremo. Dopo due anni, stremanti, di pandemia. Dopo dieci, durissimi, di crisi, stagnazione, emigrazione, impoverimento. Ci stanno chiedendo il sangue. Questa volta, anche quello vero.
L’Italia è in guerra, così è stato deciso. Per ora combatte con sanzioni finanziarie, commerciali, economiche, che stravolgeranno irrimediabilmente una già fragile economia – non solo nazionale, ma globale. La finanza come momento della guerra – un avvertimento alla Cina, ma lo sapevamo già – oggi più che mai ibrida. Condotta su più livelli. La globalizzazione che abbiamo conosciuto a partire dal 1991 non sarà più la stessa. E armi agli ucraini, puntualmente arrivate nelle mani di reparti – non più milizie – di neonazisti, come quelli di Azov. «In alcune città, è più facile ottenere una mitragliatrice che il pane», raccontano compagni ucraini che non sentirete nei talk-show, ma che vi traduciamo. «I militari e i gruppi fascisti prendono in ostaggio le popolazioni di Kharkiv, Kiev e Mariupol, usando la gente come scudi umani». A difesa «dei nostri valori», si intende: democratici, inclusivi, occidentali, contro la «barbarie orientale» di sempre. Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia: cancellati in un sol colpo. Tutte le geopolitiche sono uguali, ma la mia è più uguale delle altre. È la Siria 2.0, alle porte di casa, con arsenali atomici e fratricidio di popoli. Una tragedia non solo russa, ma europea.
A Ovest già si preparano gli eserciti. Le licenze sono revocate. Gli arsenali si riempiono. I fucili vengono oliati, mentre si trincera il fronte interno. È caccia al “putiniano”, al “russo”, al “traditore”. O con Noi, o con Lui. Se questa non è già guerra… almeno risparmiateci la retorica democratica.
Per questo: non con Lui, ma contro di Voi.
Contro il nemico in casa nostra: l’imperialismo Nato, la tecnocrazia europea, il governo della crisi trasformata in guerra.
Contro il nemico che marcia alla nostra testa: la sinistra imperiale, la sua chiamata alle armi, che soffia sul fuoco appiccato alle nostre porte.
L’unica posizione possibile, da qui dove stiamo.