«C’è chi dice sì ai militari».
Così gongolava Il Foglio in un articolo del 5 dicembre riferendosi all’Unimore e alla sua nuova rettrice, Rita Cucchiara, fresca la polemica sul corso di Filosofia “negato” a Bologna per i cadetti dell’Accademia militare.
L’11 dicembre sotto il rettorato di Modena si è toccato con mano la sua messa in pratica concreta, che è la vera faccia del nuovo corso: sì ai militari, ma sì anche alla Digos, sì alla polizia, sì alla militarizzazione dei processi decisionali, degli spazi universitari e di opposizione. In questo caso pacifica e democratica come una proposta di mozione al Senato accademico, per l’interruzione dei rapporti tra Università di Modena e aziende e istituzioni di Israele, per non essere – studenti, ricercatori, lavoratori universitari – più complici di un genocidio.

La risposta è stata la chiusura del rettorato con democratici cordoni di polizia, che ha certificato da parte delle istituzioni i democratici sì a Israele, sì al genocidio, ma anche sì ai processi accelerati di trasformazione dell’Università in «laboratorio della guerra», reparto baricentrale e per questo cruciale della più complessiva «fabbrica della guerra» in cui si sta ristrutturando il nostro territorio, l’economia italiana e le società occidentali più in generale.
Lo spiega bene lo stesso giornalista del «Foglio», che a quanto pare ha letto con attenzione l’inchiesta pubblicata a luglio sul blog sulle connessioni tra la rettrice Cucchiara e gli apparati industriali-militari israeliani, europei e della Nato, oltre che con aziende belliche di Stato come Leonardo, attraverso una serie di progetti e laboratori d’avanguardia che interessano l’Intelligenza artificiale, il dual-use della ricerca e le politiche guerrafondaie con cui i governi come quello Meloni – ma anche quello regionale emiliano-romagnolo – tentano di uscire da una crisi capitalistica senza fine.
Se i dipartimenti come quello di Ingegneria, Informatica e Fisica sono profondamente intrecciati e dipendenti con questo processo di riconversione bellica, dato il giro di soldi, carriere e contratti che ci ruota intorno, il prossimo target sembrano allora essere le facoltà umanistiche come Filosofia, Storia, Lettere, Sociologia, Antropologia, come bacino di formazione e reclutamento dei saperi, di produzione di pensiero e discorso ai fini della propaganda e della guerra, dell’accettazione di un destino di mobilitazione militare a fianco di Nato, Usa e Israele per “fermare il declino” di questo sistema di sfruttamento, morte e genocidio.
In una piccola città democratica ma già ampiamente militarizzata come Modena, con la riconversione in atto della Motor Valley in Tank Valley e dell’Unimore in Ricerca & Sviluppo per la Difesa con l’avvallo della CGIL e delle consorterie del PD, può accadere però che l’imprevisto irrompa. L’abbiamo sperimentato tra il 22 settembre e il 3 ottobre, quando una forza collettiva si è manifestata bloccando tutto, spaventando governo, opposizione e padroni, e obbligando ogni organizzazione, sindacato o struttura collettiva a porsi il problema dei propri limiti. Crediamo si tratti di una discontinuità da continuare a interrogare con «sdegno e tenacia, scienza e ribellione», ovvero con metodo, per inchiestarne la composizione, prefigurare le linee di tendenza del conflitto, sperimentare organizzazione e ricomposizione. Perché il punto di prospettiva di un militante è sempre il tentativo di anticipare il possibile, per sovvertirlo nell’imprevisto. Chissà che si possano prendere a calci i piedi del tavolo e rovesciarlo sulle ginocchia di chi ha in serbo un futuro orribile per tutti noi…
[Ringraziamo «Il Foglio» per l’inaspettato interessamento all’inchiesta – apprezziamo quando organi del nemico di classe convalidano un lavoro dei compagni, che a quanto pare ha colpito nel segno – e per la citazione di Kamo come «collettivo rosso»: va benissimo aggiungeremmo solo: compatto e autonomo. Come ogni bandito comunista che si rispetti].

