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Troppo fuorismo / Inchiesta

Il laboratorio della guerra. Tracce per un’inchiesta sull’università dentro la «fabbrica della guerra» di Modena

0. Un’ipotesi a premessa

Rita Cucchiara è la nuova rettrice dell’Unimore. Prima donna ad assumere questo ruolo nella storia dell’Università di Modena e Reggio, è stata eletta a giugno 2025 al ballottaggio contro Tommaso Fabbri, con un corpo accademico votante spaccato in due.

Come gruppo di inchiesta universitario, è indicativo per il nostro discorso lo spostamento dei rapporti di forza, di bilanciamento e di potere interni all’istituzione Università dal dipartimento di Economia a quello di Ingegneria. Come vedremo, questo elemento può essere già inteso come indizio della direzione e del ruolo che l’istituzione università sta assumendo, in questa fase accelerata e acuta di crisi, sul nostro territorio inteso nelle sue connotazioni produttive e sociali, nel suo rapporto con lo sviluppo capitalistico a vocazione industriale e dei soggetti da esso messi al lavoro, e in relazione alle trasformazioni del contesto politico e capitalistico non solo locale, ma regionale, nazionale ed europeo, dentro la crisi globale che si fa stato di guerra.

La figura della nuova rettrice sta lì a esprimere questa fase di cruciale trasformazione. Partiamo da qui, cominciando a tracciare qualche punto d’inchiesta sull’università come «laboratorio della guerra», da ampliare, mettere a verifica e agire in senso militante, con punto di vista di parte.

1. La nuova rettrice: Rita Cucchiara

Ordinaria di ingegneria informatica e direttrice di numerosi laboratori di ricerca sull’intelligenza artificiale, Rita Cucchiara viene descritta dai giornali come il volto delle donne nelle STEM italiane, con un curriculum accademico invidiabile. Tuttavia, il dato politico reale che emerge ripercorrendo le tappe della sua carriera accademica e istituzionale è il suo ruolo di raccordo, da un lato, tra ricerca pubblica universitaria e il suo impiego nel rilancio del profitto d’impresa e, dall’altro, tra politica (non solo locale) e accesso alle catene globali del valore. In una traiettoria che, seguendo la curva dell’accumulazione capitalistica nel tempo della crisi e della guerra, descrive chiaramente la porosità tra la produzione – industriale, di sapere, e quindi di soggettività – civile e la produzione militare, oggi esplicata nel paradigma del «dual use».

Sarebbe infatti parziale, e quindi limitante, accontentarsi di contestare superficialmente la sua stretta vicinanza a Israele – sebbene durante il genocodio della popolazione palestinese della striscia di Gaza e il salto di livello nel conflitto in Medio Oriente non esistano posizioni neutrali – trascurando di osservare, in profondità, il significato di quanto realizzato nel contesto in cui siamo collocati, l’Italia e in particolare l’Emilia. Tenere come unica prospettiva critica un generico pacifismo rischia infatti di ridurre l’analisi e quindi la prassi politica a polemica moralista, e soprattutto di non riconoscere la portata reale della direzione di trasformazione in «fabbrica della guerra» del nostro territorio, in cui l’industria della formazione tecnico-scientifica – non limitata a sole scuola e università – svolge un ruolo di primissimo piano: quello di «laboratorio della guerra».

2. Unimore e IDF: la relazione strutturale con Israele

Fatta questa opportuna premessa, è incontestabile che Cucchiara ha svolto un ruolo soggettivo d’impulso nello sviluppo della collaborazione tra Unimore e la ricerca tecnologica israeliana, stringendo partnership pluriennali e organizzando enormi congressi. Si prenda, tra i tanti esempi, la presentazione del laboratorio AIIS, diretto da Cucchiara, al Naftali Building dell’Università di Tel Aviv, con la presenza dell’Ambasciata italiana e di Isaac Ben-Israel, ex generale dell’IDF e oggi direttore della Israeli Space Agency , la ECCV European Conference on Computer Vision del 2022, organizzata da Cucchiara a Tel Aviv insieme a figure di primo piano come Amnon Shashua, CEO miliardario di Mobileye e fondatore dell’omonima Shashua Family Foundation, società “filantropica” il cui Nitzanim Program mira a «duplicare il numero di giovani provenienti da zone svantaggiate nei reparti high-tech dell’IDF» (si veda qui e qui). Ma accanto a queste numerose iniziative estemporanee, vanno sottolineati i tentativi di rendere duratura nel tempo, ovvero strutturale, la collaborazione con Israele, lanciando network pensati ad hoc come la rete ELLIS, un «laboratorio di ricerca sulle AI multicentrico composto di unità e istituti situati in Europa e in Israele»; la rete conta appunto anche un’unità modenese, diretta da Cucchiara.

3. Unimore e NATO: progettare la guerra che viene

Non mancano poi i progetti NATO, quale il programma di riconoscimento facciale BESAFE – Behavioral Learning in Surveilled Areas with Feature Extraction – che la rettrice stessa ha coordinato in collaborazione con la Hebrew University. Sempre Cucchiara ha poi lanciato i suoi laboratori Unimore in grossi progetti alle dirette dipendenze della Difesa e dell’intelligence statunitense, come il progetto di videosorveglianza DIVA di IARPA (Intelligence Advanced Research Project Activity) dell’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale (qui una presentazione del progetto in cui Cucchiara casualmente trascura di indicare l’origine spionistica del progetto). Oltre all’AIIS, un altro laboratorio modenese diretto da Cucchiara, l’AImageLab, viene frequentemente presentato come un esempio virtuoso di collaborazione tra l’Unimore e Leonardo(si veda qui e qui), il colosso globale nel settore della Difesa controllato dallo Stato italiano, tra i maggiori attori del complesso militare-industriale e protagonista oggi, sul territorio modenese ed emiliano (ma non solo, come dimostrano le inchieste torinesi e in Piemonte), nel dare il ritmo e la direzione alla riconversione in senso bellico del tessuto d’imprese meccaniche e metalmeccaniche legato all’automotive in crisi.

Va segnalato, inoltre, il progetto STORE (Shared daTabase for Optronics image Recognition and Evaluation), un enorme consorzio di accademici e colossi dell’industria militare come Rheinmetall (tedesca) e Thales (francese), finanziato con 323 milioni di euro dall’UEper la creazione di un database di immagini esplicitamente rivolta all’analisi tattica delle situazioni di combattimento, a cui Unimore partecipa attraverso il laboratorio AIRI, diretto sempre dalla rettrice neoeletta (si veda qui e qui). Sebbene non ci siano fonti pubbliche chiare in materia, sembra che parte della sperimentazione militare che vede nella Cucchiara interlocutore strategico ruoti, oltre che nella cybersicurezza, intorno al mondo dell’aviazione e dei droni – un arma, quest’ultima, avviata alla produzione di massa il cui potenziale è già stato sperimentato sui fronti ucraino e mediorientali, che sarà protagonista nei futuri scenari bellici come il carrarmato nella Seconda guerra mondiale – che incontra i vari tentativi di Confindustria e della Regione emiliano-romagnola a governo PD di sviluppare un distretto locale dell’aerospazio.

4. Unimore, imprese e politica a sistema per il profitto

A questo punto però è necessaria una precisazione, senza la quale si rischia di fraintendere il senso del quadro descritto. La prossimità della nuova rettrice di Unimore ad articolazioni di Israele e ad apparati della NATO non può prescindere dall’ambito della politica istituzionale, con cui sussistono solidi collegamenti e internità. Dal “curriculum” leggiamo infatti una fitta lista di importanti incarichi istituzionali sia con il governo Conte I (“giallo-verde” a trazione M5S e Lega), sia con il governo Conte II (il cosiddetto governo “giallo-rosso” con M5S e PD), sia infine con l’attuale governo Meloni. È possibile notare, quindi, che il raccordo con il mondo della decisione politica (e quindi con le risorse e i finanziamenti statali e comunitari) non vada ridotto solo a una precisa visione ideologica o a un’adesione a un determinato partito politico.

Tuttavia, nel contesto modenese ed emiliano, è con il sistema radicato del partito che governa il territorio e lo sviluppo, il PD, che sussistono le maggiori relazioni e affinità.

Per quanto riguarda la politica di Modena, i giornali avevano fatto circolare nell’ottobre 2023 l’ipotesi di una candidatura della Cucchiara a sindaco per il Partito Democratico favorita nientemeno che dall’allora presidente (modenese) della regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini; sebbene a questa eventualità non seguirono prese di posizione esplicite, il ruolo raggiunto difficilmente la può vedere estranea a collegamenti, appoggi, internità all’area politica del PD che governa il territorio e il suo sviluppo, in sintonia con l’università.

Vale la pena menzionare, a tal riguardo, almeno due eventi particolarmente rilevanti se declinati nell’ottica di rilevare i legami politici della nuova rettrice, e come questi ultimi vengono contestualizzati nel panorama universitario e industriale emiliano e modenese, nell’ottica di interpretarne le presenti e future trasformazioni.

Cucchiara ha preso parte all’iniziativa organizzata dal PD “Impresa & ripresa: il ruolo delle PMI nel Next Gen EU”, tenutasi il 15 Luglio 2021, finalizzata a rafforzare il tessuto produttivo europeo, con tema centrale il ruolo delle PMI – baricentro dell’economia italiana, con particolare rilevanza nel triangolo industriale lombardo-veneto-emiliano – nel rilancio economico postpandemico. L’intervento portato da Cucchiara ha visto come principale punto di attenzione il profondo scollamento, nel nostro Paese, tra innovazione, con focus su quella universitaria relativa all’AI, e apparato industriale, spesso incapace di assorbire conoscenza e pratiche/tecnologie innovative. La rettrice ha dunque auspicato a una sempre più stretta collaborazione tra centri di ricerca universitari con aziende, figure manageriali, amministrazioni locali, anche in ottica di uno sviluppo tecnologico che non si pieghi a una mera acquisizione da soggetti internazionali distaccati dal territorio, e che permetta quindi di rientrare competitivamente nelle catene del valore globali. Tra gli altri, all’evento hanno presenziato Enrico Letta (allora segretario del PD), Andrea Orlando (allora ministro del Lavoro e delle Politiche sociali nel governo guidato da Mario Draghi), Cesare Fumagalli (ex segretario generale di Confartigianato imprese) e Anna Ascani (allora sottosegretaria di Stato al Ministero dello Sviluppo economico).

Un secondo evento sicuramente di rilievo nell’andare a tracciare i legami tra la rettrice e pezzi di Partito Democratico è la convention del 22 luglio 2023 di Energia Popolare, corrente/area di Stefano Bonaccini – ex presidente della regione Emilia-Romagna, ora mandato a curare gli interessi della borghesia locale a Bruxelles come eurodeputato – interna al partito. In tale circostanza Cucchiara ha tenuto il proprio intervento su un piano di analisi di più alto livello, andando a rispondere alla domanda “Perché la politica si deve occupare di AI?” Ha sottolineato quindi come l’AI rappresenti di per sé un “fatto politico”, facendo riferimento al documento “AI for Europe”, votato e firmato il 25 aprile 2018 dagli Stati membri della Comunità europea, che sancisce l’importanza che l’intelligenza artificiale riveste in relazione alle scelte politiche dei nostri paesi. La rettrice riprendeva il documento in questione specificando in particolare come la rivoluzione tecnologica dell’AI dovesse coniugarsi con i “nostri” valori “etici”, di “democrazia”, di “diritti umani”, di “privacy” e ci capacità di gestire i dati personali.

Queste affermazioni in particolare, tolta l’ipocrita retorica progressista ormi ristagnante, generano sicuramente non pochi contrasti con la realtà concreta e pubblica di una stretta collaborazione tra UNIMORE da una parte e articolazioni di Israele e della Nato dall’altra, impegnati in prima linea nel genocidio della popolazione palestinese e nella guerra per procura contro la Russia cercata, scatenata e sostenuta dall’imperialismo delle consorterie euroatlantiche. Collaborazione attuata proprio tramite progetti e laboratori spesso diretti dalla Cucchiara, messi al lavoro, insieme allo sviluppo dell’AI, per la «fabbrica della guerra», per un sistema che produce e riproduce sfruttamento e guerra come ultima spiaggia della valorizzazione capitalistica e del dominio imperialista, schiacciando qualsiasi sedicente valore etico, democrazia, diritto e privacy a seconda dell’interesse e del profitto del momento.

Crediamo sia importante considerare questi eventi e collaborazioni non come un posizionamento strettamente ideologico da parte di Cucchiara, ma come segnali di un legame continuativo e strategico tra la rettrice e le forze politiche che sul territorio modenese ed emiliano rivestono un ruolo decisionale di primo piano nell’ottica di una sempre crescente integrazione tra università, sistema d’impresa dipendente da una ricerca pubblica “messa a profitto” e accodata al trend del dual use civile-militare, e ristrutturazione industriale del territorio in funzione dello sviluppo bellico.

5. Capitalismo in Stato di guerra

Ciò che va osservato nell’apparentemente contraddittorio, passaggio continuo della rettrice dalla destra alla sinistra è la necessità del suo ruolo di stabilire un legame con le forze politiche che si candidano a gestire il potere ai diversi livelli della società e che vedono nell’intelligenza artificiale un elemento strategico.

Come la Cucchiara stessa scrive su «Gnosis» (rivista ufficiale dell’AISI, Agenzia informazioni e sicurezza interna, ossia l’erede del SISDE), parlando del laboratorio AIIS da lei diretto, «nato sotto l’egida del Dipartimento delle informazione per la sicurezza», l’obiettivo dichiarato è di «rafforzare la crescente cooperazione tra ricerca e industria e tra ricerca e istituzioni».

Politico ed Economico trovano punto di mediazione, raccordo e sintesi nello Stato, che attraverso le sue articolazioni li organizza a sistema. In Emilia possiamo vedere, attraverso il punto di osservazione del laboratorio università e dell’indirizzo rappresentato dalla rettrice Cucchiara, la messa a sistema delle esigenze capitalistiche di rilancio di un’accumulazione locale in affaticamento o che rischia di perdere l’aggancio agli anelli alti delle catene globali del valore con il quadro politico dell’avvicinamento e quindi della preparazione a uno scenario di guerra che vede già impegnato lo Stato nella mobilitazione delle sue risorse (obiettivo del 5% del Pil alla Difesa a scapito della spesa sociale, legislazione repressiva del dissenso e della conflittualità interna con il DDL sicurezza, militarizzazione delle decisioni e dei territori in prossimità di strutture energetiche, logistiche, produttive e militari sensibili come il futuro impianto di accumulo energetico di San Damaso, progetti di formazione e propaganda militare nelle scuole, ipotesi di ripristino della leva, eccetera).

Nel nostro territorio, uno degli apici dello sviluppo industriale italiano insieme a Lombardia e Veneto, infatti, la scienza prodotta dalla mano pubblica attraverso l’università, la ricerca, la formazione e il lavoro di ricercatori, serve per essere infusa nella produzione di merci delle imprese – sopperendo una quota di investimenti in ricerca e sviluppo aziendali tra le più basse d’Europa, in particolare nelle medio-piccole imprese che si concentrano nel tessuto industriale emiliano – le quali nell’accesso a programmi di sviluppo tecnologico e mercati ad alto valore aggiunto possono trovare la porta d’ingresso ai piani più alti e redditizi delle catene del valore, quelle filiere in cui spesso hanno maggior peso gli asset immateriali (design, marketing, brevetti, datasets, ecc.).

E quale settore più redditizio, in tempi di guerra imperialista, che l’industria militare, con cui la guerra viene materialmente preparata? Con tutto il corollario di merci, produzioni, subforniture visto come volano per trainare fuori dai guai un capitalismo in crisi di valorizzazione.

6. Dal laboratorio alla fabbrica della guerra: il pivot militare

A fianco del laboratorio università, spetta dunque alle amministrazioni politiche cittadine e regionali plasmate e occupate dal PD – utilizzando anche “cinghie di trasmissione” come la Cgil, la cooperazione, l’associazionismo progressista tipico della società civile emiliana –  il ruolo di governare e armonizzare lo sviluppo di questa fabbrica sociale che è il nostro territorio in «fabbrica della guerra», coordinando, mediando, i processi decisionali, attirando flussi di capitale, indirizzando saperi “spendibili”, oltre che organizzando il territorio e la sua forza-lavoro a essere “più competitivi”, “più specializzati”, “più pacificati” rispetto ad altri, e gestire le inevitabili ricadute negative sulla composizione sociale di cui facciamo parte e sull’ecosistema già martoriato e nocivo in cui viviamo.

Non è strana, dunque, la timidezza delle burocrazie e delle strutture dei sindacati concertativi “di Stato” (Cgil-Cisl-Uil) verso i processi di rinconversione in senso militare dell’industria emiliano-modenese, o l’inconsapevolezza di questi processi da parte degli stessi delegati sindacali dentro le fabbriche: il complesso militare-industriale porta commesse, quindi lavoro, spesso anche specializzato, quindi magari a più alto salario in un frangente di scarsa disponibilità di manodopera qualificata o giovanile disposta a introiettare tempi della fabbrica e “status” operaio. E lavoro, per i sindacati, vuol dire rappresentanza, e quindi coinvolgimento in tavoli istituzionali, tavoli di trattativa, tavoli per stilare accordi. Tavoli per controllare la forza-lavoro e dare un senso alla propria esistenza nel suo rapporto con le parti Confindustria e Stato.

Il “modello Emilia” è stato un modello di sviluppo peculiare che, dal dopoguerra agli anni Ottanta, ha proiettato il sistema economico della regione dal sottosviluppo agricolo a punte d’avanguardia dell’industria internazionale. E ricordiamo che le basi di questo sviluppo industriale, a Modena, sono state posto da acciaierie e fabbriche messe al lavoro per la produzione bellica fin dal primo Novecento. Oggi, dopo il passaggio di crisi del 2008 e dentro le temperie prima pandemiche e poi belliche che dal 2020-2022 stanno ridefinendo il sistema della globalizzazione, anche l’Emilia è investita da un processo di riconfigurazione dagli esiti non scontati, e insieme ad essa Modena. A partire dalla crisi dell’industria tedesca, in particolare l’automotive, a cui pezzi non secondari di industria modenese ed emiliana sono strettamente legati da rapporti di subfornitura. E dalle necessità geopolitiche dell’egemone americano di reshoring e friendshoring, ovvero di ricostituzione interna al campo NATO – o di paesi “fedeli” e “sicuri” selezionati in esso, tra cui l’Italia sembra ambire la posizione – di una base industriale, di catene della produzione, in particolare nel settore militare, che la fase superata di globalizzazione ascendente (1989-2008) ha disperso e allungato in giro per il mondo. Un mondo, oggi, non più pacificato sotto l’indiscutibile dominio degli Stati Uniti e del suo prolungamento Occidente, ma che a Washington sono determinati a far rimanere tale. Preparandosi alla guerra.

In tale contesto l’opportunità, che si fa urgenza, di ammodernare i settori, le filiere e le lavorazioni di punta utilizzando il pivot militare, con buona pace di quello stuolo di imprese (ancora troppo piccole o arretrate, obsolescenti di managing, con forza lavoro dequalificata e scarsamente presenti nei mercati internazionali) che non avrà capacità, canali e capitali per stare al passo se non un’ulteriore dequalificazione, sfruttamento e comando sul lavoro.

Di qui il peso specifico che acquisisce sempre di più, dentro l’istituzione Unimore, il dipartimento di Ingegneria, e l’importanza sistemica di figure di raccordo come la rettrice Cucchiara, con la sua rete di contatti internazionali “dual use” (civili e militari) nei settori strategici più avanzati di sviluppo tecnologico e a più alto valore aggiunto, tra cui figurano colossi dei semiconduttori e dell’Intelligenza artificiale di calibro geopolitico come NVIDIA.

7. Intelligenza artificiale: dalla Motor alla Silicon valley emiliana?

Dal punto di vista capitalistico, solo se si riconfigura integrando vocazione manifatturiera e ricerca tecnologica, produzione e brevetti, utilizzando l’occasione del pivot del militare, l’Emilia può continuare a garantire alla sua imprenditoria di restare a galla in un Italia e in un’Europa strette nella morsa della crisi globale. Ancor meglio se una singola lavorazione o un singolo brevetto può prestarsi contemporaneamente a più settori: ecco il senso del valore strategico del dual use, ossia della capacità di un prodotto di venire utilizzato sia per il mercato civile che per quello militare.

Non sorprenderà dunque che la rettrice Cucchiara sia nel CDA di ART-ER, il consorzio della Regione finalizzato a rafforzare la proiezione internazionale e la produttività delle imprese e della ricerca locali e nel gruppo di lavoro del Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024. Si noti che a entrambi è da ricondurre la “Data valley” di Bologna, ossia un reticolato di imprese e servizi legati all’elaborazione di dati orbitante intorno al supercomputer Leonardo di Cineca: un progetto dal costo stimato di 240 milioni di euro, che fornisce l’infrastruttura materiale anche per le sperimentazioni sviluppate a Modena.

Peter Thiel, fondatore di Palantir, tecno-oligarca della Silicon Valley e ideologo neoreazionario dell’amministrazione Trump, spiega che, come molti altri investitori di alto profilo, ha deciso di scommettere sull’AI perché senza di essa non resta nient’altro: nessun segno di progresso, nessuna immagine del futuro. Nessun nuovo ciclo di sviluppo in grado di superare la grande stagnazione. Nelle sue parole è palpabile una certa disperazione capitalistica.

Per il capitalismo in crisi l’Intelligenza Artificiale è considerato come elemento decisivo, ultima spiaggia attraverso cui far valorizzare flussi di capitali altrimenti in marcescenza: sia nella ristrutturazione della base produttiva nazionalee nel suo riorientamento verso l’estrazione di plusvalore; sia per la cattura di capitali internazionalizzati da mettere a valorizzazione attraverso investimenti; sia nella riconfigurazione della divisione internazionale del lavoro, in cui la competizione tecnologicatra Stati Uniti (e Occidente) e quella dei suoi avversari (su tutti, la Cina) diventa immediatamente una forma di scontro geopolitico esistenziale.

8. Alcune piste aperte di ricerca politica

Grande crisi significa grande guerra nella storia del capitalismo contemporaneo. Oggi, di fronte a tutti, sembra stagliarsi questo passaggio d’epoca. Non sappiamo quanto grande crisi sociale comporterà, se sarà possibile dopo di esso un ritorno di grande ciclo di sviluppo, e se questo passaggio sarà segnato dal ritorno in grande di lotta di classe e lotta politica. Per quanto ci riguarda, il «che fare?» riguarda come starci dentro a questo passaggio. Dentro al nostro tempo, ma contro di esso. Non si tratta di negare quello che è. Si tratta di anticiparlo e, passateci un’immagine, surfarlo. Prenderne atto senza lasciarsi subordinare dalla sua logica. Rovesciandolo nell’occasione che rimette in discussione, ancora prima che il sistema di produzione e il rapporto di potere, il nostro modo di osservare e agire nella complessità del mondo con punto di vista di parte, a partire dai territori e dalle contraddizioni dove siamo socialmente collocati. Alla ricerca di una forza collettiva possibile in grado di farne una scadenza e un passaggio in avanti, di ricomposizione e organizzazione di momenti di attacco e di rottura, di costruzione autonoma di nuove prospettive di fuoriuscita da questa «fabbrica della guerra» che è il modo di produzione capitalistico, la sua forma di vita e il suo modello di società, a partire dai sui «laboratori» più avanzati, come appunto l’università.

Considerate dunque le trasformazioni, dentro e fuori i muri dell’università, in cui il nuovo rettorato dell’Unimore si inserisce e di cui è espressione, si aprono piste di ricerca del conflitto su cui continuare l’inchiesta, dentro il «laboratorio della guerra», reparto baricentrale della «fabbrica della guerra» del nostro territorio. Qui, in conclusione, ne elenchiamo alcune, da ampliare e mettere a verifica nel proseguimento dell’inchiesta.

Composizione studentesca e forza-lavoro dentro l’università.

Quale ruolo e consapevolezza, dentro le trasformazioni dell’università, hanno studenti e lavoratori, in particolare ricercatori, assegnisti di ricerca, dottorandi più o meno precari, coinvolti e messi al lavoro per il «laboratorio della guerra»? Come cambiano la fruizione dell’università e le aspettative studentesche verso di essa in relazione alla «fabbrica della guerra», alla propria formazione in funzione del «dual use», ai percorsi lavorativi interni o coinvolti nel complesso militare-industriale? I lavoratori verranno coinvolti più strettamente, anche grazie a miglioramenti di posizione e di condizione, o il loro lavoro ulteriormente impoverito di autonomia e sfruttato attraverso meccanismi di precarietà? Sono possibili in tale frangente comportamenti di rifiuto della propria condizione e della propria messa al lavoro per la guerra? E di che tipo, su quali basi e in quali settori?

Trasformazione della città e del territorio.

Come si trasformeranno la città di Modena (e il suo territorio allargato alla provincia) a fronte dell’importanza sempre più crescente nel sistema regionale, nazionale e internazionale della propria università in «laboratorio della guerra», di cui Ingegneria avrà sempre più un ruolo preminente? Che tipo di composizione studentesca e lavorativa attirerà, con quali aspettative, a quali condizioni abitative e di possibilità di reddito? Che tipo di infrastrutture dedicate andranno a impattare – e come – sulla popolazione studentesca e cittadina, a fronte di speculazioni edilizie di “studentati” monstre (quello sull’area delle Ex-Officine Corni in via Fanti e via Benassi nel quartiere Sacca) o di lusso, con sventramento e gentrificazione dei quartieri del centro in funzione di movida e turismo (come la trasformazione di via Carteria e zone limitrofe a S. Eufemia, praticata attraverso la cinghia di trasmissione dell’associazionismo progressista), e con quali contraddizioni? Che effettivo ruolo e funzione hanno certe opere impattanti, imposte dall’alto con la scusa della transizione energetica, come il progetto di impianto di accumulo energetico BESS di San Damaso?

Lavoro e fabbrica della guerra.

Che tipo di lavori, con che qualità e salari, si verranno a creare sul territorio trasformato in «fabbrica della guerra» attraverso la filiera del complesso militare-industriale? Che tipo di formazione scolastica e universitaria, tecnica e specialistica, necessiteranno? La piccola-media impresa riuscirà a inserirsi nel processo di riconversione, e come, o assisteremo a processi di ulteriore accentramento? Che tipo di figure operaie e/o tecniche saranno baricentrali in questa settore di produzione? E quale sarà il peso specifico degli ingegneri e tecnici formati dall’Unimore? L’espansione del complesso militare-industriale nella filiera meccanica e metalmeccanica modenese produrrà più scomposizione e frammentazione a livello di classe (salari e inquadramento alti per determinate figure insieme a maggior sfruttamento e dequalificazione per altre) come gestione della crisi o più ambivalenze da poter piegare dentro a un processo di rinnovato sviluppo? Che ruolo avranno i sindacati confederali “di Stato” (Cgil-Cisl-Uil) dentro questo processo e quali possibilità di attivazione conflittuale fuori, oltre, di essi?

Soggettività politica

In un contesto peculiare come Unimore (divisa tra le sedi di Modena e Reggio) che ha sempre faticato a esprimere momenti e spazi conflittualità, perfino dentro le facoltà umanistiche, come si trasforma la composizione studentesca e le soggettività che esprime? Come può e deve cambiare – se è possibile – la militanza politica dentro l’università trasformata in «laboratorio della guerra»? Può essere lo spazio STEM, intrecciato ai più alti processi di sviluppo e trasformazione descritti, essere ambito dove ricercare ambivalenze e potenziali soggetti conflittuali? Attraverso quali canali, linguaggi e forme organizzative? E le figure studentesche delle facoltà umanistiche come si collocano in questo contesto? Quali salti in avanti di metodo e formule organizzative sono necessari per ambire all’altezza dei processi che si vogliono aggredire, sabotare e rovesciare? È possibile pensare percorsi e processi di trasformazione dell’università di Modena da «laboratorio della guerra» a «laboratorio delle lotte»?