Sui social sta girando molto, negli ultimi giorni, questa foto delle olimpiadi invernali di Pechino. Ritrae un impianto per sci allestito nel sito delle acciaierie Shougang, oggi spento per obsolescenza e riconvertito – così dicono: noi non siamo di Pechino.
L’immagine è sicuramente suggestiva: stuzzica non poco le sensibilità distopiche e catastrofiste di un certo immaginario contemporaneo, attratto al contempo sia dal weird sia dalla sci-fi. Diciamo di “un certo” perché, come sappiamo, la struttura delle piattaforme dove esso si può saggiare non può che produrlo in bolle, spesso incomunicanti tra loro. Un’immagine che per una bolla ha significato, per la bolla a fianco può non averne.
In questo caso, la forza dell’immagine sta proprio nel riuscire a forare più bolle, e trovare un senso mediano tra esse, quando anche di segno opposto. Soprattutto tra le fasce giovanili istruite, millennial e Z, è già diventata meme. E in quanto tale strumento del meme warfare, uno dei tanti campi di battaglia dove si prepara, combattendolo già, il conflitto principe che informa i nostri tempi (per non parlare degli spazi, non solo politici): quello degli Stati Uniti contro la Repubblica popolare cinese – Occidente contro Oriente, sai che novità.
Nel tempo dell’immagine, la guerra si fa in particolar modo iconografica, lo sanno bene le agenzie statali e private predisposte a condurla. L’immagine dello scivolo bianco per sci olimpionico alle acciaierie Shougang, un puntino brillante sommerso dallo squallido grigiore industriale circostante, un’isola di luce circondata dalla plumbea cappa dell’inverno carbonfossile, in candido contrasto con il territorio avvelenato, violentato e deturpato dalla velocità – e potenza “novecentesca” – dell’impetuoso sviluppo cinese, si presta bene a convergere nella narrazione propagandistica della “Transizione ecologica”, indirizzo politico della ristrutturazione capitalistica postpandemica, in particolare europea.
L’arruolamento delle sensibilità ambientali ed ecologiste trasversali, ma soprattutto progressiste, predominanti appunto tra le generazioni di venti-trentenni più istruite, in funzione anticinese è lo specchio della ridefinizione delle grammatiche e del riposizionamento dei campi politici in corso, un’anticipazione di quali saranno i fronti per cui si combatterà (già si combatte) la guerra per determinare la forma della globalizzazione uscita dalla pandemia.
«Guardate, la distopia totalitaria cinese. Il paese che inquina più di tutti nel mondo. Nemico della Transizione ecologica. Rischiamo l’estinzione come specie. Se non smette di portare la terra al collasso, qualcuno dovrà costringerla a fermarsi…» Non sappiamo voi dove vivete, ma, a parte lo scivolo, questa foto è letteralmente Sassuolo…