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Discorsoni / Analisi

Quando inizia la nostra Fase 2?

Passato lo shock iniziale della pandemia, capace di bloccare una nazione intera e buona parte del pianeta, si cominciano a definire e a delineare i veri progetti di questo governo e di quella parte di paese che di fatto comanda: Confindustria.

Il 2020 è l’anno del cambio alla presidenza di viale dell’Astronomia, il virus ha accelerato la scelta di quello che è l’attuale presidente, Carlo Bonomi. Una scelta voluta dalla parte oltranzista degli associati di Confindustria, che mette a capo dell’associazione un integralista, che nella loro ottica gli servirà per gestire la crisi e lavorare per il futuro.

Una scelta non plebiscitaria, che di fatto ci fa capire che dentro all’associazione degli industriali ci sono lotte interne di visione e gestione perfino del presente. Bonomi è un falco messo al potere, il quale non ha aspettato molto a dettare la linea al governo su a chi dovessero andare le centiniaia di miliardi di euro (la famosa «potenza di fuoco») stanziati in grande quantità dallo Stato: a sostegno delle imprese, della produzione, del profitto come variabile indipendente, a discapito di salari, redditi da lavoro, misure di welfare. Un’enorme cascata di liquidità creata sostanzialmente a debito, che andrà a sostenere la rendita privata, e peserà sulle finanze pubbliche, socializzandone le perdite. Chi pagherà quindi il conto? Già si può vedere come il costo della crisi da Covid19 stia venendo scaricato verso il basso, sulle nostre spalle. Bonomi, infatti, ha già fatto intendere l’obiettivo di derogare i contratti nazionali a quelli aziendali, per permettere a ogni impresa di regolare la propria gestione interna in base alle proprie esigenze. Sulla pelle dei lavoratori.

Un passaggio che sicuramente ha trovato sponda nell’accordo fatto con i sindacati confederali per la gestione della sicurezza nel mondo produttivo, ma anche nelle dichiarazioni del segretario della Cgil, Landini, che in continuità con la vecchia segreteria spinge per tavoli di confronto per una gestione condivisa col padronato nei posti di lavoro, assieme alla conta della rappresentanza. Sappiamo benissimo però che nel caso questi confronti trovino spinta, lanci, trattative e conferme, diventeranno la normalità, facendo ancora una volta pagare tutto ciò ai lavoratori.

Lavoratori che oggi si trovano ad affrontare il ricatto salute-lavoro. Fino ad oggi avevamo l’esempio in situazioni ben precise, come l’Ilva di Taranto, ma ora ci troviamo tutti, bene o male, a dover scegliere tra la vita o il salario. Come durante una rapina. Perché i brandelli di welfare, gia sgretolato, non saranno più sufficienti sotto promesse vane di un governo succube di padroni e banchieri, dove il prezzo dei beni di prima necessità sono in continuo aumento, non ci sono servizi atti alla tutela delle persone, e molte famiglie si troveranno a scegliere chi mandare al lavoro per poter badare ai figli, perdendo di fatto un’entrata già insufficiente per mandare avanti la baracca, tra casse integrazioni non pagate e ridicole briciole per le partite iva

Proprio queste ultime dopo due mesi non hanno risposte sul presente, se non appunto un “contentino” simbolico, ma sopratutto sul futuro, perché parliamoci chiaro: finché non si trova un vaccino, potranno mettere in campo tutte le Fasi che vogliono, ma tutto sarà precario, senza garanzie, la “normalità” un miraggio, e in molti saranno costretti a chiudere e si ritroveranno senza reddito. Di fronte a tutto ciò non ci sono certezze su possibili ricadute del virus in autunno, che nel caso tornasse ad aumentare picchi di contagio si trasformerebbe in un disastro sociale.

Dicevamo della sudditanza dei governi rispetto a Confindustria: tutto ciò è diventato palese, sotto gli occhi di tutti, chi comanda davvero in Italia. Perché di fatto non ci sono norme e azioni verso sostegni e welfare sociale che possano sostenere la gran parte delle persone. L’attualità imporrebbe che lo stato sostenesse lavoratori e famiglie, e che tutte le azioni rivolte verso l’Europa servissero per finanziare il salario diretto e indiretto, dalla sanità, alla scuola, il blocco degli affitti, il blocco del pagamento delle spese delle partite Iva, permettendo a tutti di avere quelle certezze che permetterebbe in primis di vivere e di riaprire una volta finita l’emergenza.

Invece come accade, si guarda sempre ai grossi “padroni del vapore” del Nord, quella parte di Confindustria votata all’export e legata a doppio filo alla Germania, agli industriali tedeschi, e quindi all’Euro, a cui forniscono lavorati e pezzi in subfornitura per le proprie produzioni ad alto valore aggiunto. Padroni che piangono perché non possono stabilizzare i profitti, chiedendo subito miliardi per sostenere le proprie aziende, alla faccia del libero mercato che loro dicono di sostenere. È questo il lessico del potere e dei rapporti di forza: aiutare le imprese “è una priorità” e se dai loro soldi si usa dire che sono “sostenute”. Se i soldi le dai alle persone in difficoltà, queste invece diventano “sussidiate”. Le prime incentivate, i secondi qualcosa di vicino ai parassiti. Un manifesto ideologico

Di fronte a questo scenario, se confindustria guarda già alla ripartenza post virus, “noi” — un noi molto largo, ma che ci riguarda direttamente — arriviamo all’appuntamento navigando a vista, facendo un enorme fatica a capire in che direzione andare. Una cosa certa è che bisogna tentare di entrare nelle contraddizioni laceranti (come quella salute-salario) e nelle mobilitazioni sporche che questa fase ci pone davanti, senza puzza sotto il naso, capire i margini di intervento e porre le basi quanto meno per fare un necessario scarto in avanti in termini di rottura con quello che fino ad ora siamo insufficientemente stati.
Senza lacrime per le rose.